lunedì 30 marzo 2009

“Forse non tutti sanno che..”_ POCHE MA CURIOSE PRECISAZIONI LINGUISTICHE:

Detto e affermato l’importante ruolo del linguaggio come veicolo di creazione di nuove realtà, incuriosita dalla ricerca di Morosin e da quanto detto insieme, approfondisco un po’.

Il termine strumento(INSTRUMENTUM) deriva dal latino INSTRUERE = COSTRUIRE, apparecchiare, disporre; dallo stesso verbo latino però deriva anche il verbo I(N)STRUIRE, che tra i diversi significati,figuarti e non,che può assumere, troviamo anche e soprattutto quello di INFORMARE.

Ecco l’ennesimo legame tra strumenti, architettura e information tecnology.

BREVE POST : incontro alla galleria romana “Come se”


Riallacciandomi indirettamente al  discorso dei “nonluoghi” e alla loro caratteristica di rimanere invariati al passaggio di migliaia di persone, senza ricevere o lasciare nessun tipo di traccia, mi sembra che la ricerca di Costantino Morosin prenda spunto da una simile radice : dare voce attuale al tentativo primordiale dell’uomo di LASCIARE UN SEGNO nei luoghi e nel tempo, cosa che nella storia si è sempre concretizzata  trovando la sua massima espressione nell’arte e in tutte le sue forme.



In questo caso Morosin però interpreta letteralmente questa esigenza intrinseca umana, e la concretizza nella maniera apparentemente più semplice possibile: disegnare sul mondo.Realizzare la sue opere in questa direzione, l’ha condotto, a mio avviso,  a una sintesi efficace che esprime e coniuga due sistemi lontani tra loro, il primo atemporale, il bisogno umano di palesarsi, e il secondo legato al fattore tempo, allo sviluppo e alla “terza ondata”. Operare dunque attraverso uno strumento di ultima generazione, come il GPS, che sovrappone lo spazio e il tempo, lo spostamento e il divenire, amplia il raggio delle implicazioni possibili della sua sperimentazione.



 Forse anche la ricerca di Margolies può essere letta in questa stessa chiave: anche le archittetture delle interstate street  appaiono come un tentativo inconscio di lasciare un segno evidente, una suggestione particolare e caratterizzante lungo queste arterie continentali che non incotrano nulla lungo il loro tragitto.

 L’incontro di mercoledì 26 alla galleria “Come se”, mi è sembrata la maniera più completa e coerente di concludere questo primo ciclo di lezioni in cui per la prima volta, parlo del mio caso, abbiamo preso confidenza con la realtà storica degli strumenti che ci circondano, dalla prospettiva.. al computer, come la lezione di mercoledì scorso ci anticipava.

martedì 17 marzo 2009

NONLUOGHI e SURMODERNITA’


Riflettendo sul concetto di modernità, mi è tornato in mente un scritto dell’antropologo francese Marc Augè, che nei primi anni novanta conia due termini oggi ormai metabolizzati, e che penso possano essere un buono spunto di riflessione per tutto il corso Caad 09.

Augè teorizza per la prima volta il concetto di NONLUOGO, ossia “quegli spazi  dell’anonimato ogni giorno più numerosi, frequentati da individui simili ma soli. Nonluoghi sono sia le infrastrutture per il trasporto veloce, sia i mezzi stessi di trasporto, ma anche supermercati e grandi catene alberghiere”.

Caratterristica di questi nonluoghi è di non lasciare alcuna traccia sulle migliaia di persone che ne condividono lo spazio e viceversa ne rimangono pressochè invariati al loro passaggio. Sono sedi di transito e non sedi di eventi: mi vengono in mente i grandi spazi commerciali delle stazioni o degli areoporti, i centri commerciali e ikea, luoghi in cui è possibile compiere simultaneamente più azioni provvisiorie e fruire degli stessi prodotti presenti in qualsiasi parte del mondo. Nonluoghi in cui l’unica presenza del passaggio di un individuo è regolata da un’economia legata dal modello informatico.


Qui l’Information Technology assume un ruolo chiave e determinante: regola la presenza e lo svolgimento di ogni attività in questi nonluoghi, divenendo in alcuni casi parte strutturante di questo processo.


Partendo da un concetto di modernità ben codificato, inteso come “presenza del passato nel presente che lo supera e lo rivendica”, e a mio avviso non lontano da ciò che stiamo approfondendo parlando di IT, Augè definisce la surmodernità (dal francese surmodernité, o anche supermodernismo) come produttrice di nonluoghi antropologici , poichè recide ogni legame con i luoghi antichi, che divengono “episodi particolari ed esotici”.

Questa dimensione trova la sua completa espressione nei nonluoghi proprio per le loro caratteristiche di transitorietà e simultaneità, in cui anche il ruolo dell’immagine e della parola perde ogni connotazione e diviene l’unica relazione possibile con lo spazio esistente: i nonluoghi che frequentiamo quotidianamente, in cui facciamo la spesa o aspettiamo la metro, si esprimono attraverso un linguaggio codificato in simboli “in modo prescrittivo, proibitivo o informativo”, e che interagisce solo in maniera univoca con l’individuo stesso.


Lavorare su questi spazi non definiti e ibridi, a mio avviso è un’interessante sfida per l’architetto contemporaneo, nell’ottica in cui, come ricorda Augè, la vera sfida consiste non nel creare spazi geometrici, ma spazi antropologici, in cui l’uomo possa vivere un’esperienza di relazione con il mondo e con l’ambiente in cui è situato.