Riallacciandomi indirettamente al discorso dei “nonluoghi” e alla loro caratteristica di rimanere invariati al passaggio di migliaia di persone, senza ricevere o lasciare nessun tipo di traccia, mi sembra che la ricerca di Costantino Morosin prenda spunto da una simile radice : dare voce attuale al tentativo primordiale dell’uomo di LASCIARE UN SEGNO nei luoghi e nel tempo, cosa che nella storia si è sempre concretizzata trovando la sua massima espressione nell’arte e in tutte le sue forme.
In questo caso Morosin però interpreta letteralmente questa esigenza intrinseca umana, e la concretizza nella maniera apparentemente più semplice possibile: disegnare sul mondo.Realizzare la sue opere in questa direzione, l’ha condotto, a mio avviso, a una sintesi efficace che esprime e coniuga due sistemi lontani tra loro, il primo atemporale, il bisogno umano di palesarsi, e il secondo legato al fattore tempo, allo sviluppo e alla “terza ondata”. Operare dunque attraverso uno strumento di ultima generazione, come il GPS, che sovrappone lo spazio e il tempo, lo spostamento e il divenire, amplia il raggio delle implicazioni possibili della sua sperimentazione.
Forse anche la ricerca di Margolies può essere letta in questa stessa chiave: anche le archittetture delle interstate street appaiono come un tentativo inconscio di lasciare un segno evidente, una suggestione particolare e caratterizzante lungo queste arterie continentali che non incotrano nulla lungo il loro tragitto.
L’incontro di mercoledì 26 alla galleria “Come se”, mi è sembrata la maniera più completa e coerente di concludere questo primo ciclo di lezioni in cui per la prima volta, parlo del mio caso, abbiamo preso confidenza con la realtà storica degli strumenti che ci circondano, dalla prospettiva.. al computer, come la lezione di mercoledì scorso ci anticipava.
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